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Tutte le storie sono storie d’amore

12 Febbraio 2020

Questo titolo si riferisce a uno degli incipit letterari più belli di sempre, quello di Eureka Street, romanzo di Robert McLiam Wilson pubblicato nel 1996.

Eureka Street è pubblicato in Italia da Fazi Editore

Tutte le storie sono storie d’amore

Inizia così la storia dell’amicizia che lega i due protagonisti principali, Jake e Chuckie, tanto forte quanto anomala perché, oltre ad essere due persone estremamente diverse, il primo è cattolico mentre l’altro è protestante. E non ci sarebbe nulla di male, se non fosse siamo a Belfast nel 1994 con gli scontri, gli attentati e le tensioni sociali generati dal conflitto tra Unionisti e Nazionalisti. I Troubles, insomma.

E questi “guai” che hanno infiammato l’Irlanda del Nord per 30 anni (un focolaio che tutt’oggi non si può dichiarare del tutto estinto)  vengono raccontati a tratti con ironia dissacrante e a tratti con straziante lucidità. Restano sullo sfondo delle vicende raccontate, uno scenario necessario per raccontare Belfast, città a cui hanno strappato il cuore, una città in cui la gente è pronta a uccidere e a morire per pochi brandelli di stoffa colorata.
Eppure la loro presenza è inevitabilmente incisiva come se si trattasse di un personaggio autonomo che si muove, respira e agisce, cambiando i destini, la storia e l’umore di chi ne subisce l’influenza.

Attorno a Jake e Chuckie si muovono altri personaggi strampalati e indimenticabili, ognuno estremamente rappresentativo della Belfast anni 90. C’è Roche, un ragazzino che vive di espedienti, c’è Max, americana espatriata in senso contrario al buon senso. Ma soprattutto ci sono gli amici di Jake e Chuckie, accomunati dalla passione per le pinte di birra e dalla spontanea ostinazione con cui ognuno manifesta, a modo suo, l’implacabile rifiuto a volere a tutti i costi il male della “fazione” opposta.

 

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Iconici bicchieri da Champagne

20 Maggio 2019

Che fine ha fatto la coppa da champagne? Quella, facendo appello all’immaginario cinematografico, con cui Jay Gatsby, per dirne uno, brindava tra eccessi e fuochi d’artificio.

Quella la cui forma si racconta sia stata modellata sul seno di Maria Antonietta, Giuseppina di Beauharnais oppure Madame de Pompadour.
Non che sia una domanda che ci si pone quotidianamente ma, piuttosto, un aneddoto da spendersi in una sera tra amici: perché questo calice diventato icona dell’eleganza non viene più usato per bere champagne?

La risposta è semplice, eppure richiede qualche passo indietro nella storia stessa dello champagne:​ ​un tempo (si parla del 1700) lo champagne era molto, molto dolce. Non perché l’uva fosse diversa, ovviamente, ma perché in fase di produzione veniva aggiunta una grande quantità di zucchero, una scelta dettata dalla tendenza dell’epoca che preferiva un gusto che oggi definiremmo stucchevole. Tutt’altra cosa rispetto alle bollicine secche e minerali a cui siamo abituati oggi. Era quindi necessario servire questa versione dello champagne con una coppa larga, elegante, sì, ma soprattutto utile per accelerare la dispersione delle bollicine e spegnere gli aromi più pungenti.

La storia più recente ha visto invece protagonista il flûte, calice lungo e stretto progettato con l’intento esattamente opposto, ovvero evitare la dispersione delle bollicine e degli aromi. Il flûte, infatti, favorisce la risalita delle bolle e di tutti gli aromi liberati dal loro scoppio in uno spazio ristretto, prolungando così l’effervescenza.La sua progressiva diffusione, a partire dagli anni ‘30 del Novecento, è andata di pari passo con l’introduzione sul mercato di champagne e spumanti sempre più secchi. Unico inconveniente: l’imboccatura è effettivamente così stretta da essere spesso inaccessibile ai nasi più… Importanti.

Oggi la coppa da Champagne trova la sua migliore espressione con il Moscato spumante dolce e aromatico, mentre il flûte viene utilizzato per brindare durante occasioni particolari, come feste, cerimonie e cocktail party.
Esiste la soluzione pratica per non essere costretti a tenere in casa innumerevoli servizi di bicchieri? Sì, esiste: il miglior bicchiere per conciliare le esigenze di ogni tipo di spumante (e non) è il calice da degustazione ISO, studiato in ogni minimo dettaglio, dallo stelo all’imboccatura, per valorizzare le bollicine ed esaltarne le qualità.

Fotografia

Insieme erano magici

31 Luglio 2017

Il tour dei Beatles in Italia non fu il flop che tutti raccontano

Palazzo Fava a Bologna ospita fino al 9 ottobre Astrid Kirchherr with The Beatles, la mostra fotografica che ripercorre gli esordi dei Beatles, tra concerti e club malfamati sulla Reeperbahn di Amburgo. Astrid Kirchherr era una studentessa d’arte e assistente del fotografo Reinhard Wolf quando incontrò la band al Kaiserkeller, locale in cui si esibivano ogni sera nel 1960, e rimase folgorata dalla loro energia (oltre che da Stuart Sutcliffe, il primo bassista, ma questa è un’altra storia). Ne intuì il potenziale e si propose per essere la prima ad immortalarli in un vero e proprio servizio fotografico posato, regalandoci scatti entrati nella storia ma rimasti pressoché sconosciuti fino agli anni ’90 e influenzandone profondamente lo stile (il famoso caschetto mobtop, per esempio, fu opera sua). Fu inoltre l’unica fotografa ammessa sul set di “Hard Day’s Night”, il primo film della band.

Astrid è stata veramente l’unica che abbia influenzato la nostra immagine più di ogni altro. Ci faceva sembrare belli. (George Harrison)

Io c’ero, una frase a cui segue sempre un ricordo raccontato con il sorriso sulle labbra. Se poi si tratta di rievocare gli unici concerti italiani dei Beatles, beh, fermi tutti.

È accaduto per caso di origliare lo stralcio di una conversazione proprio al secondo piano della mostra Astrid Kirchherr with The Beatles: davanti alla foto della folla in attesa di entrare al Teatro Adriano per l’ultimo concerto a Roma del quartetto di Liverpool, quel “io c’ero” non poteva che scatenare la curiosità di sapere come effettivamente reagì il pubblico italiano a quella che nel 1965 era già la band più famosa al mondo.

Marco Molinari Pradelli aveva 18 anni e i Beatles li conobbe grazie a Gianni Bisiach, che nel 1963 li presentò su Rai Tv come “un quartetto stonato e mediocre”.

«Ma a me piacquero subito  –  ricorda  –  E non appena in Italia arrivò il loro primo album mi precipitai a comprarlo, in società con mio fratello. E ho continuato a comprarli perché allora, quando si veniva invitati a una festa, si portavano i dischi: li consumavamo riascoltando, ballando e cantando ogni nota».

La loro unica tournée italiana si concentrò in pochi giorni del giugno 1965 e le città coinvolte furono Milano, Genova e Roma con esibizioni da circa 45 minuti pomeridiane e serali: all’epoca si usava così, niente a che vedere con i concerti da due ore a cui siamo abituati oggi. Il 24 giugno, i Fantastici Quattro salirono sul palco del Velodromo Vigorelli a Milano, prezzo del biglietto 1.000 lire circa e vendite ben lontane dal tutto esaurito.

«Ma quel concerto non mi piacque per niente  –  ricorda ancora Marco –  Il pubblico non era abbastanza coinvolto e loro suonavano svogliati».

Tutt’altra situazione, invece, durante le tappe romane del 27 e 28 giugno: «Mio padre era direttore d’orchestra e il 28 giugno doveva dirigere la Carmen alle Terme di Caracalla. Mi portò con sé e, mentre lui era al lavoro, io e il mio carissimo amico Dante siamo andati al Teatro Adriano per vedere di nuovo i Beatles. Qui la situazione era molto diversa, la folla in attesa di entrare era enorme e ricordo che c’era molta eccitazione».

«Mi presentai ovviamente vestito come loro, in completo, cravatta e stivaletti, copiando lo stile con cui George Harrison portava il bavero della giacca alzato: era lui il mio preferito».

«Ero seduto in terza fila, settore “Poltronissima” e avevo accanto ragazzine che si sgolavano, soprattutto per Ringo ogni volta che scuoteva i capelli».

Il successo romano dei Beatles fu tale che, una volta terminato il concerto, il pubblico non fu libero di uscire dal teatro finché il gruppo non fosse arrivato sano e salvo in hotel.

«Ovunque andassero, erano sempre assediati dai fan. E infatti, una volta usciti da Teatro Adriano, molti di noi andarono sotto all’Hotel Parco dei Principi, dove alloggiavano, per vederne anche solo le ombre dalle finestre».

Una testimonianza che sfata il mito secondo cui i Beatles ebbero un’accoglienza tiepida in Italia: in quegli anni tanti dissero che si tratta di meteore, che sarebbero durati poco senza lasciare traccia nella storia della musica. 

«Forse questo è dovuto al fatto che, almeno agli inizi, avevano poca tecnica. Le melodie erano semplici e accattivanti, così come i testi, ed è questo che li rendeva davvero innovativi. Ma per spiegare davvero il loro successo bastava guardarli per esserne totalmente rapiti… Insieme erano magici».

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La fine dei vent’anni

23 Maggio 2017

Non so come sia potuto succedere, non riesco a capacitarmene. È come guardarsi attorno in preda al panico, cercando disperatamente le chiavi della macchina nelle tasche, nella borsa, per terra perché, cazzo, le avevo in mano fino a un attimo fa e tra esattamente venti secondi inizierò ad essere in ritardo per il lavoro, non ho tempo di salire in casa a cercarle.

Io, al capolinea dei vent’anni? No, non è possibile. Io nella vita posso avere solo vent’anni, non importa quale numero segue il 2. E invece domani mi sveglierò e, come tanti altri prima e dopo di me, i vent’anni saranno un ricordo.

La fine dei vent’anni
É un po’ come essere in ritardo
Non devi sbagliare strada
Non farti del male
É trovare parcheggio
(Motta – La fine dei vent’anni)

Non li ho passati tra fine settimana in Costa Azzurra a bordo di yatch e barche a vela, a girare il mondo con lo zaino in spalla o in discoteche con tavoli riservati e champagne da sbocciare. Forse mi sarebbe piaciuto, forse no, è andata diversamente e ora so di avere la capacità di apprezzare tutto quello che mi è successo.

Li ho passati studiando poco, lavorando tanto, viaggiando ogni volta che ho potuto, prendendo treni, aerei, macchine, autobus, moto, biciclette pur di uscire dal mio orticello di certezze, pur di vedere di persona meraviglie con cui riempirmi gli occhi.
Li ho passati a volte piangendo, ridendo tantissimo, spesso arrabbiata, sempre inquieta, mai totalmente soddisfatta.

Ragazze vi prego non lisciatevi i capelli
lasciateli curare dal vento dalla salsedine del mare
perché è lì che ci spogliamo bene e ci vestiamo male
perché è lì che mostri la tua carne la tua carne fresca
perché è lì che siamo tutti uguali coi costumi a fiori
perché è lì da cui veniamo tutti e ci vogliam tornare
(Thegiornalisti – Mare Balotelli)

Li ho passati mangiando troppi carboidrati, anche troppi gelati, comprando troppe maglie a righe bianche e blu, bevendo molto vino, prendendo molto sole, amando (sì, sto per dirlo) il mare e sentendone la mancanza quasi ogni giorno, imparando ad apprezzare la campagna e la solitudine, soprattutto negli ultimi anni.

Li ho passati imparando ad accettare la possibilità di essere diversa e imparando a capire la diversità degli altri. Ho imparato che fa lo stesso anche se non so camminare sui tacchi, se non ho la piega perfetta, se per affermarmi non voglio alzare la voce.
Ci sono voluti 29 anni e circa 364 giorni per capire quando è il tempo di lasciare andare, girarsi dall’altra parte e via veloce come il vento e quando invece è ora di puntare i piedi.

Ma l’hai capito che non ti serve a niente
Sembrare intelligente
Agli occhi della gente
E che morire serve
Anche a rinascere
(Brunori sas – La verità)

Li ho passati litigando tantissimo con i miei genitori, soprattutto quando dovevo convincerli che una mia scelta era la più giusta, che non avrei perso tempo ad ascoltare le loro obiezioni.
Li ho passati rivalutando tanti loro avvertimenti e facendo la pace, trovando in loro il mio faro nel mare in burrasca.

Li ho passati con persone che non mi hanno mai mollato, altre che mi hanno accompagnato per un pezzetto e poi basta, lasciando una traccia più o meno evidente.
Li ho passati con persone che mi hanno trovato e cambiato, con persone che io ho trovato e insieme ci stiamo contaminando.

Li ho passati vedendo cambiare il mondo, assistendo impotente alla crisi del ventunesimo secolo, entusiasta della rivoluzione digitale che ha portato una nuova ondata di consapevolezza e in cui ancora credo, nonostante tutto. E, tuttavia, mi sono rassegnata davanti alla fine di molte possibilità in cui ho fortemente creduto e inseguito.

Nella vita, appena capisci che il piano B devi fartelo piacere come il piano A, tutto questo mentre t’affezioni al piano C, ce l’hai fatta.
(Ester Viola)

Li ho passati guardando tanti film in cassetta, dvd e scaricati con emule, leggendo tantissimi libri soprattutto di carta, ma anche ebook perché, non so se l’avete notato, ma i libri sono sempre la parte più faticosa di un trasloco.
Li ho passati ascoltando la radio dallo stereo della macchina e dalle app sugli smartphone, ascoltando musica su cd, su vinile, scaricata illegalmente e ri-masterizzata, da youtube, i-Tunes e da Spotify  e scoprendo che cosa bella sono i concerti.

Li ho passati affezionandomi a canzoni improbabili perché sono arrivate nel momento giusto, tipo quando ascoltavo la radio facendo la primissima doccia in casa mia e hanno passato Up&up dei Coldplay. Ora ogni volta che la ascolto non riesco a non pensare a quella prima doccia, quando ancora non c’erano le porte e nemmeno i mobili, non c’era nemmeno il lavandino a dire il vero. C’era la cucina, un materasso e il mio computer appoggiato su quel parquet color miele che tanto avevo desiderato.

Sono una foto ricordo che non ho vissuto
Una storia allegra con un finale aperto
Sono un vino annacquato ma di nascosto
Sono o non sono io non l’ho mai capito
Sono un Pinocchio appeso in una Fiat Punto
Oppure un pesce rosso molto affezionato
Sono in coda all’ingresso e non so se entro
Sono un bosco in pieno centro
(Ex-Otago – Cinghiali incazzati)

Li ho passati facendo troppi traslochi, soprattutto negli ultimi anni, e a questi traslochi sono seguiti altrettanti cambi di vita, di abitudini, di idee, di posizioni. Quel paziente e meticoloso lavoro di fine cesellatura sulla personalità che il tempo e i cambiamenti portano in regalo come fossero Re Magi. “Oppalà, questa sei tu a 30 anni, sei contenta? Te lo aspettavi?”

No, non me lo aspettavo.

Sono un’onda in un lago, una montagna al largo
So disegnare su un foglio con le parole
Sono acqua e fuoco, mi contraddico, me lo consento
Sono una casa a cielo aperto
Sono una valigia piena in una valigia più grande
Un bambino all’acquario visto dallo squalo
Sono l’ultimo ballo prima dell’addio
Sono come sono, un po’ cambiato
Hey, tu, come ti senti? Che cosa sei?
(Ex-Otago – Cinghiali incazzati)

 

 

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Un’ottima annata

12 Maggio 2017

guilty pleasure
Guilty pleasure, ovvero un film che sappiamo tutti non essere un capolavoro ma ciononostante, o forse proprio grazie a questo, ha ogni volta lo stesso effetto della favola della buona notte. “Un’ottima annata” è una commedia sentimentale americana senza grandi pretese, se non quella di avere la stessa surreale leggerezza delle commedie francesi. Qualche cliché, un tardone affascinante, una fotografia pazzesca ma soprattutto LEI. No, non Marion Cotillard che vi ricordo io odio costantemente per aver pugnalato Batman. Lei, LA CASA. Una tenuta in Provenza con meravigliosi arredi d’epoca, cantina, parco, terrazza, piscina, campo da tennis e VIGNA. E tutti vissero felici e contenti, è il sogno della mia vita.

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Di come casa mia è diventata un Airbnb

9 Maggio 2017

Quanti sono gli host iscritti a Airbnb? Migliaia in ogni parte del mondo. Ecco, posso affermare con (quasi) assoluta certezza che nessuno di loro ha vissuto con la mia stessa dose di angoscia, fatica, paura, rimorso e pena i giorni antecedenti all’arrivo dei primi ospiti.
Ma facciamo un passo indietro, per chi si fosse sintonizzato nel 2017 solo ora: gli host sono coloro che mettono a disposizione un appartamento, oppure una stanza, una mansarda, una dependance, per periodi di affitto (più o meno) brevi, e questo succede grazie alla piattaforma web che si chiama Airbnb. In sostanza, la rivoluzione dell’internet che, ad un certo punto, non solo ha consentito di ampliare le mete disponibili evitando gli oneri delle agenzie di viaggio, ma ha anche dato accesso ad esperienze lontane dall’organizzazione rarefatta delle classiche strutture turistiche e con un’atmosfera più autentica e spontanea, senza che questo implichi partire verso l’ignoto come un profanatore di tombe egizie dell’800.

L’alloggio che ho deciso di pubblicare su Airbnb è il mio appartamento, non una seconda casa non pienamente vissuta con arredi carini, funzionali ma improvvisati. No, casa mia, lasciatami in eredità da mia nonna nel minuscolo paese provinciale e un po’ sfigato in cui ho trascorso tutta la vita fino ai 24 anni, e da cui sono scappata come da copione non appena ne ho avuto la possibilità. Una casa che, dopo non pochi tentennamenti, ho deciso, grazie al sostegno dei miei genitori, di ristrutturare e sistemare in modo che anch’io, in questo mondo di precariato, continui traslochi e partita iva al regime dei minimi, avessi quattro mura sicure in cui trovare rifugio e conforto, mangiare latte e corn flakes, dimenticare delusioni lavorative e amorose, trovare una sistemazione definitiva a tutti i miei libri (avete mai notato quanto siano la parte più massacrante di un trasloco?), guardare con intima soddisfazione gli angoli meglio illuminati. Ho scelto personalmente, con una cura che definirei semplicemente maniacale, ogni dettaglio di questi circa 47 mq, in modo che in ogni rifinitura ci fosse in qualche modo il riflesso delle mie scelte, del mio gusto e del mio carattere. Tutto questo spiegone per far capire quanto fossi terrorizzata all’idea che questo spazio così personale fosse in balia di estranei, violato da qualcuno che non ne conosceva il profondo valore affettivo e potenzialmente minacciato da catastrofi tipo il parquet irrimediabilmente macchiato.

Perché ho deciso di infliggermi una simile violenza? Perché per la terza volta in meno di due anni mi sono dovuta trasferire a Bologna, città in cui si trova la sede principale del mio lavoro. E dal momento che purtroppo i soldi ancora non riesco a coltivarli come ortaggi, l’affitto va pagato, le bollette pure e alle vacanze estive non voglio rinunciare, va da sé che la soluzione a cui ho pensato è stata Airbnb, nonostante non fossi sicura che una casa vacanze tra le colline del paesiello, dal tanto glorioso quanto decaduto passato termale, potesse rappresentare una meta ambita. E invece, eccola lì, la prima richiesta di prenotazione arrivata dopo nemmeno 48 ore dalla pubblicazione dell’annuncio, a cui ne sono seguite altre al punto da riempire i fine settimana di maggio e giugno. Di pari passo sono cresciuti stupore, compiacimento e ansia. L’ansia, soprattutto, ha raggiunto picchi mai esplorati prima.

Il lieto fine in cui riprendo possesso di casa trovandola in perfette condizioni devo ancora viverlo, per il momento mia madre (che abita nell’appartamento affianco, mi piace vincere facile quando si tratta di avere la situazione sotto controllo) mi manda periodici aggiornamenti, l’ultimo dei quali segnala che la mia “inquilina”, come lei la chiama, il pomeriggio si diverte a fare gorgheggi e a respingere i tentativi di amicizia del gatto Gigi lanciandogli tonno sott’olio dalla finestra. Ok.

https://www.instagram.com/p/BQGLm5kAhAp/?taken-by=qualcosascrivo

 

Fotografia

Dancing in Emilia

12 Aprile 2017

Ovvero: L’Emilia Romagna che balla negli scatti di Gabriele Basilico

basilico 5Gabriele Basilico è stato (e sarà per sempre) uno dei fotografi che più ha segnato la storia della fotografia del ventesimo secolo.
Nel marzo-aprile del 1978, il fotografo fu incaricato dal mensile di informazione Modo di compiere un’analisi fotografica sul mondo delle balere in Emilia Romagna. La ricerca lo appassionò a tal punto che decise poi di proseguirla in maniera autonoma e gli scatti raccolti furono presentati nel 1980 in una mostra.

Il viaggio fotografico di Gabriele Basilico è stato pubblicato nel libro Dancing in Emilia, edito da Silvana Editoriale e curato da Silvia Ferrari in collaborazione con Giovanna Calvenzi.

Basilico ha dedicato gran parte del suo lavoro a documentare la prospettiva architettonica e il cambiamento urbanistico delle città di tutto il mondo, partendo da Milano, sua città natale. Ma, parallelamente, la sua straordinaria sensibilità lo resecapace di documentare la realtà con inedito punto di vista antropologico. Ecco quindi che grazie alla commissione ricevuta, Basilico si avventurò tra discoteche, balere e locali:

Il risultato è un itinerario che racconta perfettamente, a quasi quarant’anni di distanza, la passione crescente per il ballo, una febbre del sabato sera tutta emiliano-romagnola, mostrando luoghi esuberanti e originali ma con un’atmosfera un po’ nostrana, tutta italiana.

basilico 1
Durante il ventennio compreso tra i primi anni ’70 e la fine degli ’80, l’Emilia-Romagna fu protagonista della nascita di un vero e proprio“distretto del divertimento”, con oltre 35 sale da ballo nel raggio di 100 chilometri:

Una vera rivoluzione di costume e società, in cui musica, immagine, moda, tecnologia e spettacolo si mescolarono freneticamente dando vita a un percorso di crescita e cambiamento esponenziale.

basilico2basilico3
“Nel 1978 si era inaugurata la Ca’ del Liscio a Ravenna — racconta Basilico in un’intervista del 2007 — un dancing grande come uno stadio, che conteneva circa tremila persone. Una vera rivoluzione del divertimento di massa. Mi è stato proposto di fare un servizio, un viaggio lungo la Via Emilia, da Piacenza a Rimini, fino alla Ca’ del Liscio, e lungo questo percorso ho incontrato dieci/quindici di questi luoghi incredibili.

Andavo in giro con la macchina al collo, perlustravo lo spazio avanti e indietro cercando di rispondere alla domanda “Cosa succede lì dentro? Voi umani siete fuori, non potete immaginare cosa c’è dentro”.

basilico4

basilico dancing emilia_190Dancing in Emilia

A cura di Silvia Ferrari
Testi di Gabriele Basilico, Gustavo Pietropolli Charmet, Giovanna Calvenzi.

Nel marzo-aprile 1978 Gabriele Basilico (Milano, 1944–2013) viene incaricato dal mensile di informazione Modo di compiere un’analisi fotografica sul mondo delle discoteche in Emilia Romagna. La ricerca viene poi proseguita da Basilico in maniera autonoma e presentata in una mostra nel 1980.
Questo volume ripubblica l’intero lavoro, uno dei meno conosciuti del fotografo ma per molti aspetti sorprendente sia per la tecnica utilizzata sia per i contenuti, i cui risvolti antropologici — ancora di grande attualità, a trent’anni di distanza — sono ben chiariti nei testi che accompagnano il reportage. Il volume è completato da una conversazione con il fotografo raccolta nel 2007 e da note biografiche.


Foto credits: grazie a Galleria Civica di Modena e Repubblica Bologna.

(Una versione di questo articolo è stata pubblicata in origine su travelemiliaromagna.it)