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Di come casa mia è diventata un Airbnb

Quanti sono gli host iscritti a Airbnb? Migliaia in ogni parte del mondo. Ecco, posso affermare con (quasi) assoluta certezza che nessuno di loro ha vissuto con la mia stessa dose di angoscia, fatica, paura, rimorso e pena i giorni antecedenti all’arrivo dei primi ospiti.
Ma facciamo un passo indietro, per chi si fosse sintonizzato nel 2017 solo ora: gli host sono coloro che mettono a disposizione un appartamento, oppure una stanza, una mansarda, una dependance, per periodi di affitto (più o meno) brevi, e questo succede grazie alla piattaforma web che si chiama Airbnb. In sostanza, la rivoluzione dell’internet che, ad un certo punto, non solo ha consentito di ampliare le mete disponibili evitando gli oneri delle agenzie di viaggio, ma ha anche dato accesso ad esperienze lontane dall’organizzazione rarefatta delle classiche strutture turistiche e con un’atmosfera più autentica e spontanea, senza che questo implichi partire verso l’ignoto come un profanatore di tombe egizie dell’800.

L’alloggio che ho deciso di pubblicare su Airbnb è il mio appartamento, non una seconda casa non pienamente vissuta con arredi carini, funzionali ma improvvisati. No, casa mia, lasciatami in eredità da mia nonna nel minuscolo paese provinciale e un po’ sfigato in cui ho trascorso tutta la vita fino ai 24 anni, e da cui sono scappata come da copione non appena ne ho avuto la possibilità. Una casa che, dopo non pochi tentennamenti, ho deciso, grazie al sostegno dei miei genitori, di ristrutturare e sistemare in modo che anch’io, in questo mondo di precariato, continui traslochi e partita iva al regime dei minimi, avessi quattro mura sicure in cui trovare rifugio e conforto, mangiare latte e corn flakes, dimenticare delusioni lavorative e amorose, trovare una sistemazione definitiva a tutti i miei libri (avete mai notato quanto siano la parte più massacrante di un trasloco?), guardare con intima soddisfazione gli angoli meglio illuminati. Ho scelto personalmente, con una cura che definirei semplicemente maniacale, ogni dettaglio di questi circa 47 mq, in modo che in ogni rifinitura ci fosse in qualche modo il riflesso delle mie scelte, del mio gusto e del mio carattere. Tutto questo spiegone per far capire quanto fossi terrorizzata all’idea che questo spazio così personale fosse in balia di estranei, violato da qualcuno che non ne conosceva il profondo valore affettivo e potenzialmente minacciato da catastrofi tipo il parquet irrimediabilmente macchiato.

Perché ho deciso di infliggermi una simile violenza? Perché per la terza volta in meno di due anni mi sono dovuta trasferire a Bologna, città in cui si trova la sede principale del mio lavoro. E dal momento che purtroppo i soldi ancora non riesco a coltivarli come ortaggi, l’affitto va pagato, le bollette pure e alle vacanze estive non voglio rinunciare, va da sé che la soluzione a cui ho pensato è stata Airbnb, nonostante non fossi sicura che una casa vacanze tra le colline del paesiello, dal tanto glorioso quanto decaduto passato termale, potesse rappresentare una meta ambita. E invece, eccola lì, la prima richiesta di prenotazione arrivata dopo nemmeno 48 ore dalla pubblicazione dell’annuncio, a cui ne sono seguite altre al punto da riempire i fine settimana di maggio e giugno. Di pari passo sono cresciuti stupore, compiacimento e ansia. L’ansia, soprattutto, ha raggiunto picchi mai esplorati prima.

Il lieto fine in cui riprendo possesso di casa trovandola in perfette condizioni devo ancora viverlo, per il momento mia madre (che abita nell’appartamento affianco, mi piace vincere facile quando si tratta di avere la situazione sotto controllo) mi manda periodici aggiornamenti, l’ultimo dei quali segnala che la mia “inquilina”, come lei la chiama, il pomeriggio si diverte a fare gorgheggi e a respingere i tentativi di amicizia del gatto Gigi lanciandogli tonno sott’olio dalla finestra. Ok.

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