Fotografia

Insieme erano magici

Il tour dei Beatles in Italia non fu il flop che tutti raccontano

Palazzo Fava a Bologna ospita fino al 9 ottobre Astrid Kirchherr with The Beatles, la mostra fotografica che ripercorre gli esordi dei Beatles, tra concerti e club malfamati sulla Reeperbahn di Amburgo. Astrid Kirchherr era una studentessa d’arte e assistente del fotografo Reinhard Wolf quando incontrò la band al Kaiserkeller, locale in cui si esibivano ogni sera nel 1960, e rimase folgorata dalla loro energia (oltre che da Stuart Sutcliffe, il primo bassista, ma questa è un’altra storia). Ne intuì il potenziale e si propose per essere la prima ad immortalarli in un vero e proprio servizio fotografico posato, regalandoci scatti entrati nella storia ma rimasti pressoché sconosciuti fino agli anni ’90 e influenzandone profondamente lo stile (il famoso caschetto mobtop, per esempio, fu opera sua). Fu inoltre l’unica fotografa ammessa sul set di “Hard Day’s Night”, il primo film della band.

Astrid è stata veramente l’unica che abbia influenzato la nostra immagine più di ogni altro. Ci faceva sembrare belli. (George Harrison)

Io c’ero, una frase a cui segue sempre un ricordo raccontato con il sorriso sulle labbra. Se poi si tratta di rievocare gli unici concerti italiani dei Beatles, beh, fermi tutti.

È accaduto per caso di origliare lo stralcio di una conversazione proprio al secondo piano della mostra Astrid Kirchherr with The Beatles: davanti alla foto della folla in attesa di entrare al Teatro Adriano per l’ultimo concerto a Roma del quartetto di Liverpool, quel “io c’ero” non poteva che scatenare la curiosità di sapere come effettivamente reagì il pubblico italiano a quella che nel 1965 era già la band più famosa al mondo.

Marco Molinari Pradelli aveva 18 anni e i Beatles li conobbe grazie a Gianni Bisiach, che nel 1963 li presentò su Rai Tv come “un quartetto stonato e mediocre”.

«Ma a me piacquero subito  –  ricorda  –  E non appena in Italia arrivò il loro primo album mi precipitai a comprarlo, in società con mio fratello. E ho continuato a comprarli perché allora, quando si veniva invitati a una festa, si portavano i dischi: li consumavamo riascoltando, ballando e cantando ogni nota».

La loro unica tournée italiana si concentrò in pochi giorni del giugno 1965 e le città coinvolte furono Milano, Genova e Roma con esibizioni da circa 45 minuti pomeridiane e serali: all’epoca si usava così, niente a che vedere con i concerti da due ore a cui siamo abituati oggi. Il 24 giugno, i Fantastici Quattro salirono sul palco del Velodromo Vigorelli a Milano, prezzo del biglietto 1.000 lire circa e vendite ben lontane dal tutto esaurito.

«Ma quel concerto non mi piacque per niente  –  ricorda ancora Marco –  Il pubblico non era abbastanza coinvolto e loro suonavano svogliati».

Tutt’altra situazione, invece, durante le tappe romane del 27 e 28 giugno: «Mio padre era direttore d’orchestra e il 28 giugno doveva dirigere la Carmen alle Terme di Caracalla. Mi portò con sé e, mentre lui era al lavoro, io e il mio carissimo amico Dante siamo andati al Teatro Adriano per vedere di nuovo i Beatles. Qui la situazione era molto diversa, la folla in attesa di entrare era enorme e ricordo che c’era molta eccitazione».

«Mi presentai ovviamente vestito come loro, in completo, cravatta e stivaletti, copiando lo stile con cui George Harrison portava il bavero della giacca alzato: era lui il mio preferito».

«Ero seduto in terza fila, settore “Poltronissima” e avevo accanto ragazzine che si sgolavano, soprattutto per Ringo ogni volta che scuoteva i capelli».

Il successo romano dei Beatles fu tale che, una volta terminato il concerto, il pubblico non fu libero di uscire dal teatro finché il gruppo non fosse arrivato sano e salvo in hotel.

«Ovunque andassero, erano sempre assediati dai fan. E infatti, una volta usciti da Teatro Adriano, molti di noi andarono sotto all’Hotel Parco dei Principi, dove alloggiavano, per vederne anche solo le ombre dalle finestre».

Una testimonianza che sfata il mito secondo cui i Beatles ebbero un’accoglienza tiepida in Italia: in quegli anni tanti dissero che si tratta di meteore, che sarebbero durati poco senza lasciare traccia nella storia della musica. 

«Forse questo è dovuto al fatto che, almeno agli inizi, avevano poca tecnica. Le melodie erano semplici e accattivanti, così come i testi, ed è questo che li rendeva davvero innovativi. Ma per spiegare davvero il loro successo bastava guardarli per esserne totalmente rapiti… Insieme erano magici».

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